16° Incontro

franco - svizzero - italiano

delle coppie interconfessionali

Torre Pellice (Torino)

 

 

 

9 - 12 luglio 1999

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Foresteria Valdese

Via Arnaud 34

tel. 0121 / 91801

 

 

A partire dagli anni 70 si è costituito a Pinerolo il "Gruppo delle coppie interconfessionali" al quale fanno riferimento anche coppie di Torino, di Milano, e di altre regioni d'Italia.

La coppia interconfessionale è quella composta da due coniugi appartenenti a chiese cristiane diverse, ad esempio evangelica e cattolica.

Il "gruppo" è il luogo di riflessione e confronto su tutti gli aspetti del matrimonio interconfessionale: cammino di preparazione, celebrazione del matrimonio, vita di coppia, educazione religiosa dei figli, ecc.

Fin dal 1970 sono stati organizzati degli incontri tra coppie italiane, svizzere e francesi (recentemente anche inglesi) per avere uno scambio di esperienze e per incidere più efficacemente sul cammino ecumenico delle chiese.

Siamo così giunti al 16° incontro europeo che ha avuto come tema "famiglie interconfessionali e chiesa domestica", si è partiti dal vissuto delle coppie per riflettere teologicamente con l'aiuto di pastori e preti delle diverse chiese.

In questo fascicolo riportiamo:

1

la relazione del Padre Renè Beaupére

a pagina

4

2

la relazione del Pastore Alberto Taccia

a pagina

8

3

la relazione di Nicola Kontz

a pagina

20

4

quattro testimonianze,

da pagina .

23

 

 

All’incontro hanno partecipato il Pastore Bruno Rostagno della Chiesa Valdese di Torre Pellice e il Vescovo di Pinerolo, Mons. Pier Giorgio Debernardi.

 

 

PROGRAMMA

Sabato 10 luglio

Ore 9.00

Lettura biblica e preghiera Relazione introduttiva di Padre René Beaupère Testimonianze di coppie di vari paesi sul loro vissuto in relazione al tema

Ore 12.30

Interventi liberi

Ore 15.30

Pranzo

Ore 17.00

Visita al Museo Valdese.Considerazioni sul tema dal punto di vista evangelico da parte del pastore Bruno Rostagno

Ore 19.30

Interventi liberiCena Serata libera

Domenica

11 luglio

Ore 09.00

Partenza per la Val Chisone

Ore 10.30

Partecipazione al Culto valdese e alla Liturgia cattolica nelle chiese di Pomaretto e Mentoulles

Ore 13.00

Pranzo a Pragelato

Pomeriggio

Escursione in Val Troncea

Ore 19.30

Cena alla Foresteria valdese

Ore 20.45

Bilancio e prospettive

Lunedì

12 luglio

Ore 09.00

 

 

Incontro con i pastori e preti della zona: "Le chiese ufficiali e la chiesa domestica: quale relazione?" (introduce il pastore Alberto Taccia) Dibattito Pranzo

Ore 12.30

Pomeriggio

Partenze

 

 

 

Matrimonio misto: chiesa domestica.

Relatore: Renè Beaupére

Nel suo discorso all’ "Incontro mondiale dei matrimoni misti" (Ginevra luglio 1998), il pastore K.Raiser si è appoggiato a due parole:

Partendo da queste parole, egli ha condotto la sua riflessione sulla famiglia mista come chiesa di casa o Chiesa domestica. Contrariamente a quanto ho sentito spesso, questo tema della chiesa domestica non è "protestante": è biblico, patristico, tradizionale.

 

Alcuni esempi:

 

Col. 4,15:

" Ninfa e la chiesa che si riunisce in casa sua."

Rom. 16,5:

"Prisca e Aquila e la chiesa che si riunisce presso di loro"

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Esortazione familiaris consortio (1981):

"Bisogna studiare i molteplici profondi legami che uniscono fra loro la chiesa e la famiglia cristiana e che fanno di quest’ultima come una "chiesa in miniatura" ( Ecclesia Domestica ) in modo tale che essa sia, a sua volta, un immagine vivente ed una rappresentazione storica del mistero stesso della chiesa" (n°49)

Lettera alle famiglie (febbraio 1994):

Nella quale il papa parla delle "testimonianze dell’amore e della sollecitudine della chiesa verso la famiglia, amore e sollecitudine espresse fin dalle origini del cristianesimo, allorquando la famiglia in modo significativo era considerata come "chiesa domestica", che il concilio ha fatto sua, il cui contenuto desideriamo rimanga sempre vivo e attuale".

Esortazione La Chiesa in Africa,1995:

"Il sinodo ha lanciato esplicitamente un appello perché ogni famiglia cristiana africana divenga un luogo privilegiato di testimonianza evangelica, una vera chiesa domestica , una comunità che crede ed evangelizza, una comunità in dialogo con Dio ed una comunità pronta a servire l’uomo con generosità" (n° 92)

 

 

3 domande:

  1. La nostra chiesa domestica è proprio un posto d’accoglienza che, in quanto cristiano, permette di unire nelle diversità? (cf. Gérard Daucourt, Foyers Mixtes n°124 pag. 16-17)
  2. La nostra chiesa domestica è proprio un posto d’accoglienza per tutte le storpiature della vita e delle istituzioni? (cf. K. Raiser, Foyers Mixtes n°122 pag 30-31 e Gérard Daucourt, F.M. n°124 pag.17): "Procurare un ospitalità a tutti coloro che soffrono della situazione di una divisione che persiste".
  3. La nostra chiesa domestica è un laboratorio o un anticipazione dell’unità perché essa fonda una realtà ecumenica nuova ed apre uno spazio ecumenico. (cf. K. Raiser, Foyers Mixtes n°122 pag 30).

3 Piste di lavoro:

In grammatica riflettere su 3 parole: 1 greca, 1 latina, 1 francese.

In storia: i tempi e i luoghi in cui la chiesa è vissuta solo come chiesa domestica: Estremo Oriente, Russia, ecc.

Tema da prendere seriamente:

In teologia

- matrimonio

- riconciliazione (penitenza)

- del fratello

Il "sacramento del fratello" è suggerito dalla lettura dell’Evangelo di Giovanni che pone il racconto della lavanda dei piedi al posto in cui i tre sinottici pongono il racconto della Cena.

Se noi non possiamo (ancora, sempre) perfino come coppie miste comunicare insieme nell’Eucarestia, siamo tuttavia chiamati al servizio dell’altro e prima di tutto del nostro coniuge e dei nostri figli: noi possiamo e dobbiamo vivere il "sacramento del fratello", del servizio fraterno, valorizzato particolarmente nella spiritualità ortodossa.

 

La chiesa ufficiale e la "chiesa domestica": quale relazione?

Relatore: Alberto Taccia

Il tema pone a confronto due realtà cui attribuisce il termine di "chiesa", per sottolineare in entrambe un vincolo comunitario che ha nella fede cristiana il suo fondamento (1).

Queste due realtà fanno parte, in modo inscindibile, di una unica entità che è la Chiesa di Cristo. La chiesa domestica si integra dunque nella "chiesa ufficiale" di cui costituisce una cellula importante (2) dando testimonianza dell’unità della fede nell’unità della chiesa.

L’espressione "chiesa domestica" per definire la famiglia cristiana è inusitata nel linguaggio delle chiese evangeliche. Sembra sia stato usato per la prima volta da Giovanni Crisostomo (344-407) che definisce l’"oikia", cioè la casa, la famiglia allargata, il casato, "ekklesia mikrà" (piccola chiesa) e Agostino parimenti la definisce: "minuscula ecclesia" (3).

Il termine è ripreso nella Costituzione "Lumen Gentium" del Conc. Vat. II (4). Nell’enciclica "Familiaris consortio" del 1981, l’espressione "chiesa domestica" viene riportata per definire, fra l’altro, il ministero di evangelizzazione della famiglia cristiana: "La missione apostolica della famiglia è radicata nel Battesimo e riceve dalla grazia sacramentale del matrimonio, una nuova forza per trasmettere la fede (5). Ma viene anche detto, in modo del tutto particolare: "Il compito di santificazione della famiglia cristiana ha la sua prima radice nel Battesimo e la sua massima espressione nella Eucarestia, alla quale è intimamente legato il matrimonio cristiano. L’Eucarestia è la fonte stessa del matrimonio, il sacrificio eucaristico infatti ripresenta l’alleanza d’amore di Cristo con la Chiesa, in quanto sigillata con il sangue della sua croce. In quanto ripresentazione del sacrificio d’amore di Cristo per la Chiesa, l’Eucarestia è sorgente di carità" (6).

Chiesa ed eucarestia

Non possiamo non rilevare, nella "Familiaris consortio", la sottolineatura data allo stretto legame tra "chiesa domestica" ed "eucarestia". Tale osservazione fa emergere il punto, forse, più problematico nell’ambito del discorso riguardante i matrimoni misti interconfessionali (d’ora innanzi indicati come MMI), e la loro relazione con la "chiesa ufficiale".

L’espressione "chiesa domestica" non si ritrova nel "Testo Comune" che oggi rappresenta il documento più avanzato dal punto di vista ecumenico in relazione ai MMI. Si trova invece nel "Testo Applicativo" (7) proprio in un capitolo che vuole proporre una di quelle aperture "ad ulteriori sviluppi" che il Testo Comune, nella sua conclusione, auspica. Ed è il capitolo riguardante il coinvolgimento della comunità e, in particolare, la possibilità di una reciproca accoglienza alla Cena del Signore o Eucarestia.

Poiché tale accoglienza non è tuttora ammessa, sorge il problema relativo alla legittimità di attribuire ad una famiglia costituita sulla base di un MMI, la denominazione di "chiesa domestica". La famiglia mista mancherebbe dunque di quell’attributo ritenuto fondamentale che è il legame con la celebrazione eucaristica, così come l’enciclica papale summenzionata lo descrive: "Il pane eucaristico fa dei diversi membri della comunità famigliare un unico corpo, rivelazione e partecipazione della più ampia unità della chiesa" (8). La mancanza di tale elemento chiude l’accesso della famiglia mista non soltanto al suo diritto di essere definita "chiesa domestica" (9) ma pure alla sua possibilità di rappresentare un unico corpo, come "rivelazione e partecipazione della più ampia unità della chiesa".

Le tappe di un cammino

Questa mancata possibilità sembra porre un ostacolo insuperabile su un cammino in cui le coppie miste si sono avviate oltrepassando di volta in volta difficoltà che solo pochi anni prima parevano insormontabili.

Alcune tappe di questo cammino possono rilevarsi nella riaffermazione del mutuo riconoscimento del Battesimo, nella possibilità di dire assieme alcune affermazioni fondamentali riguardanti il significato del matrimonio, nella libertà, riconosciuta agli sposi, di celebrare il loro matrimonio secondo tre modalità ugualmente riconoscibili (in chiesa cattolica, in chiesa evangelica o in municipio), nella uguale libertà nel concordare insieme la chiesa in cui battezzare i figli e l’impostazione della loro educazione religiosa, in modo tale che l’inserimento in una delle due chiese non pregiudichi la possibilità di scegliere l’altra chiesa in età più matura. La comunità cristiana, cattolica o evangelica, è invitata ad accogliere pubblicamente il coniuge proveniente dall’altra chiesa con espressioni di fraternità. La catechesi delle chiese dovrà sempre più diventare "ecumenica", con la presentazione dell’altra chiesa con obiettività e senza pregiudizi, senza tuttavia nascondere i motivi di divisione (11).

Questa fraternità è stata largamente riconosciuta anche dal documento del Concilio Vaticano II "Unitatis redintegratio", fino al punto di superare il termine classico di "fratelli separati", sostituendolo con quello di "fratelli nel Signore" (12).

La porta chiusa

Il limite posto alla reciproca partecipazione alla Cena del Signore deve essere compreso ed approfondito.

Il Direttorio per l’ecumenismo afferma che: "i sacramenti e, in particolare, l’eucarestia, sono sorgenti di unità della comunità cristiana e di vita spirituale e mezzi per incrementarla. Di conseguenza, la comunione eucaristica è inseparabilmente legata alla piena comunione ecclesiale e alla sua espressione visibile". Ma aggiunge anche che: "al tempo stesso la chiesa cattolica insegna che, mediante il battesimo, i membri di altre chiese e comunità ecclesiali si trovano in una comunione reale, anche se imperfetta, con la chiesa cattolica". Tuttavia, dice il testo: "in certe condizioni, l’ammissione a questi sacramenti può essere autorizzata e perfino raccomandata a cristiani di altre chiese e comunità ecclesiali (13).

Le condizioni sono:

  1. l’impossibilità da parte del soggetto di accedere ad un ministro della sua chiesa
  2. che chieda spontaneamente quel sacramento
  3. che manifesti la fede cattolica circa il sacramento richiesto
  4. che abbia le dovute disposizioni.

Le circostanze sono:

  1. il pericolo di morte
  2. le norme eventualmente stabilite da una conferenza episcopale al fine di discernere situazioni di grave e pressante necessità e la verifica delle condizioni su elencate.

Ad ogni modo, conclude il Direttorio al n. 160: "Sebbene gli sposi di un matrimonio misto abbiano in comune i sacramenti del battesimo e del matrimonio, la condivisione dell’eucarestia non può essere che eccezionale e comunque vincolata alle condizioni ed alle circostanze su espresse".

Inoltre, al punto n. 132, è detto che un cattolico non può chiedere i sacramenti che ad un ministro di una chiesa i cui sacramenti sono validi o ad un ministro validamente ordinato secondo la dottrina cattolica dell’ordinazione.

Quindi la porta non è chiusa, ma lascia uno spiraglio molto stretto, talché, realisticamente, nessuno o quasi potrà passare a meno che la porta non venga aperta.

Il problema ecclesiologico

Ora, come si può comprendere, il problema di fondo non è la Cena del Signore in quanto tale, ma il significato della chiesa stessa strettamente correlato a quello della validità dell’esercizio ministeriale legato, in particolare, all’amministrazione dei sacramenti.

Per quanto concerne la Cena del Signore, cattolici e protestanti leggiamo gli stessi testi evangelici dell’istituzione fatta da Gesù, crediamo, sia pure con modalità differenti, nella presenza reale di Cristo nella Cena, invochiamo lo stesso Spirito Santo (epiclesi), spezziamo lo stesso pane con le stesse parole: "Questo è il mio corpo che è dato per noi". Eppure tutto ciò non basta: solo un ministro validamente ordinato della chiesa di Roma ha il potere di chiudere quella porta che dà accesso al sacramento eucaristico.

Il nodo della diversa ecclesiologia è fondamentale e non appare facilmente solubile. Pur ripetendo insieme lo stesso Credo niceno-costantinopolitano: "Crediamo la chiesa una santa, cattolica (universale) ed apostolica", diciamo ed intendiamo cose diverse! Dice la "Lumen gentium": "L’unica Chiesa di Cristo che nel Simbolo professiamo una, santa, cattolica ed apostolica, costituita ed organizzata in questo modo come società, sussiste nella chiesa cattolica, governata dal successore di Pietro e dai vescovi in comunione con lui, ancorché al di fuori del suo organismo si trovino parecchi elementi di santificazione e di verità che, quali doni propri della chiesa di Cristo, spingono verso l’unità cattolica (14). E la "Unitatis redintegratio" sembra suggerire che l’azione ecumenica , superati gli ostacoli, deve condurre nella unità "dell’unica chiesa che Cristo, fin dall’inizio, donò alla sua chiesa e che crediamo sussistere, senza possibilità di essere perduta, nella chiesa cattolica e speriamo che crescerà ogni giorno di più fino alla fine dei secoli" (15).

L’identificazione della chiesa cattolica con l’istituzione ecclesiastica romana rischia di cancellare la tensione dialettica tra il livello storico-umano e la universalità della chiesa di Cristo che pure in esso sussiste. E vi sussiste non come dato istituzionalmente definibile, ma come dono e promessa, sempre e di nuovo rinnovabile per mezzo dell’opera, non monopolizzabile, dello Spirito del Signore. Solo così la chiesa potrà essere veramente "ecclesia viatorum". Cito Karl Barth: "Credo ecclesiam: vuol dire che qui, in questo luogo, in questa visibile assemblea (ecclesia) si compie l’opera dello Spirito Santo. Con ciò non intendiamo deificare una creatura. La chiesa non è l’oggetto della fede, non si crede nella chiesa, ma si crede la chiesa, cioè che in questa comunità si compie l’opera dello Spirito Santo" (16). In una comprensione non statica ma dinamica della chiesa, McGrath afferma "la chiesa è istituita da Cristo ed è costituita dallo Spirito" (17). Ignazio di Antiochia giustamente affermava: "Ubi Christus, ibi ecclesia catholica" (18).

Due chiese?

"Tu sei Pietro e su questa pietra edificherò la mia chiesa" (Mat. 16, 16); "Dovunque due o tre sono riuniti nel mio nome, quivi sono in mezzo a loro" (Mat. 18, 20). Due citazioni evangeliche da cui si è ritenuto di far discendere due concezioni della chiesa in reciproca contrapposizione. È possibile, considerando il più ampio contesto evangelico in cui queste citazioni si collocano, trarre elementi comuni con possibilità di reciproca attenzione sul valore ed il significato di aspetti prevalenti dell’una o dell’altra parte, che possano costituire reciproco richiamo, crescita, arricchimento, sulla base di un confronto onesto, privo di pregiudizi e di pregiudiziali condanne?

Che la chiesa cattolica abbia accolto nella sua riflessione elementi evangelici che sembravano peculiari al protestantesimo, appare in alcune dichiarazioni riguardanti proprio il concetto di chiesa, ad esempio in riferimento al laicato, non più passiva "chiesa discente", ma popolo di Dio (19). Popolo di Dio che cattolici e protestanti hanno riconosciuto non alternativo al popolo di Israele, ma affiancato ad esso (20). Chiesa come comunione con Dio e dei membri tra di loro. Chiesa carismatica con il riconoscimento di doni non limitato al clero, adottando persino il termine "sacerdozio universale dei credenti" (21), istituendo a tutti i livelli organismi collegiali. Temi il cui sviluppo ed approfondimento potranno aiutare nello sforzo di reciproca comprensione. Il protestantesimo uscendo dal suo atteggiamento, non sempre simpatico, di primo della classe, può riconoscere le sue carenze che il sociologo protestante J. P. Willaime ha definito come deficit di istituzionalità, di sacralità ed universalità (22).

Dispute eucaristiche

Ora in tutte le chiese la Cena del Signore costituisce un non eliminabile elemento centrale. Esso tuttavia nel passato è stato causa di dispute ed incomprensioni, provocando rotture e scomuniche reciproche. Chiaramente il problema dell’unità della chiesa si gioca sulla possibilità o meno della reciproca accoglienza alla mensa del Signore.

Ricordiamo la radicale rottura tra Lutero e Zwingli nel colloquio di Marburgo del 1529, proprio sulla questione relativa all’interpretazione della presenza di Cristo nella Cena. Ma già nel 1549, con il "Consensus Tigurinus", viene superata ogni divisione tra Calvinisti e Zwingliani (23). Dobbiamo, però, attendere la Concordia di Leuenberg del 1973 per stabilire l’intercomunione tra luterani e riformati (24). È chiaro che non si tratta soltanto di reciproca accoglienza al tavolo della Cena, ma di riconoscimento reciproco della appartenenza ecclesiastica e del ministero delle chiese (25). La Concordia di Leuenberg rimane uno spazio di dialogo e di adesione aperto ad altre chiese.

I MMI, queste nuove entità che rivendicano il nome di "chiesa domestica" vogliono a ragione rimettere in gioco la questione e sollevare legittimi interrogativi.

La nozione di corpo

Per approfondire la questione, potremmo partire da una nozione che, nella Bibbia, ha una notevole rilevanza e ricchezza di significati: la nozione di corpo:

  1. Dai testi della Genesi, la creazione dell’uomo e della donna, pur nel rispetto della loro identità e diversità, conduce ad una profonda unità: "l’uomo si unirà alla sua moglie e i due saranno una stessa carne" (Gen. 2, 23-24). Il termine "carne" (basar) nell’antropologia vetero-testamentaria indica la persona umana, l’essere umano, sia pur nella sua debolezza. Uniti in "una sola carne" non indica soltanto l’aspetto fisico del matrimonio, ma esprime una profonda unità di vita. Così questo testo è letto e compreso dalle nostre chiese. Come sappiamo, Gesù riprende questa parola e ne accentua l’idea di unità, dicendo: "Non sono più due, ma uno. Quello che Dio ha unito, l’uomo non lo separi" (Mat. 19, 6). Anche questa affermazione è compresa e vissuta nelle nostre chiese.
  2. Il concetto di "corpo" nella sua unità e diversità lo si ritrova come immagine della chiesa, la quale, però, non è un corpo qualsiasi, ma il corpo di Cristo (I Cor. 12, 27), ovvero il corpo di cui Cristo è il capo (Ef. 4, 11-16). Il termine non viene usato nel senso di una nuova incarnazione o come la continuazione dell’incarnazione del Verbo, ma come segno della sua presenza: l’organo che ne esprime la realtà nella storia e che ne rende visibile testimonianza.
  3. Ma la chiesa, nella lettera agli Efesini (5, 22-33) diventa la sposa di Cristo. Il "grande mistero", cioè l’unione di Cristo con la sua chiesa diventa analogia della "stessa carne" qui richiamata dal testo della Genesi. L’unione dell’uomo e della donna acquista un senso ed un contenuto del tutto particolare nel segno dell’agape, che costituisce il vero vincolo che unisce Cristo alla chiesa. "Amate come Cristo ha amato la chiesa e ha dato la sua vita per essa". Amare la moglie è come amare il proprio corpo. Il marito e la moglie formano un solo corpo e sono entrambi membri del corpo di Cristo che è la chiesa.
  4. Ma anche il pane della Cena del Signore è definito "Corpo di Cristo". Mangiare il pane, corpo di Cristo, è affermare una doppia comunione: verticale con il Signore ed orizzontale con la comunità (I Cor. 10, 16-17). "Il pane è unico, noi, che siamo molti, siamo un corpo unico perché partecipiamo tutti ad un unico pane".

L’unità matrimoniale nell’una carne si integra nell’unità della chiesa, come corpo di Cristo, attraverso la partecipazione, nella Cena, al corpo e al sangue di Cristo.

Negare la Cena a coloro che, essendo uniti in matrimonio costituiscono quell’unità che riceve la sua analogia dall’unione di Cristo con la chiesa, crea una aporia che attende di essere sciolta e denuncia una contraddizione non accettabile. Si rischia addirittura di cadere sotto il giudizio di quella parola di Gesù quando parlando dell’unità matrimoniale dice: "L’uomo non separi ciò che Dio ha unito" che verrebbe letta: "La chiesa non separi ciò che Dio ha unito".

Il "diavolo" ed il "dialogo"

Il Concilio Vaticano II, aldilà, delle drastiche affermazioni in apparenza senza possibilità di appello, che abbiamo riportato, non considera tuttavia definitivamente chiuso il discorso sulla Cena del Signore: "Le comunità ecclesiali da noi separate, quantunque manchi la loro piena unità con noi (…) specialmente per la mancanza del sacramento dell’ordine (…) tuttavia nella Santa Cena fanno memoria della morte e della resurrezione del Signore e professano che nella comunione di Cristo è significativa la vita e aspettano la sua venuta gloriosa. Bisogna quindi che la dottrina circa la Cena del Signore, gli altri sacramenti ed il culto costituiscano l’oggetto del dialogo" (26).

Cacciato dalla chiesa il "diavolo" che divide, si fa spazio al "dialogo" che unisce e rimette in marcia il confronto ecumenico.

I MMI, queste mine vaganti che le chiese hanno sempre osteggiato e tentato di disinnescare, consapevoli che la loro esplosione avrebbe sollevato grosse contraddizioni e messo in crisi equilibri consolidati, non vogliono più essere il "diavolo" di cui si diffida, ma vogliono entrare a buon diritto nel "dialogo" interecclesiastico. Essi si pongono come "laboratori" la cui ricerca (e la cui sofferenza) non possiamo ignorare e i cui problemi non possiamo tentare di risolvere con arrangiamenti burocratici di regolamento o con provvedimenti eccezionali che contribuirebbero soltanto alla loro ulteriore ghettizzazione.

 

NOTE

  1. Catechismo della chiesa cattolica: "La famiglia cristiana offre una rivelazione e una realizzazione specifica nella comunione ecclesiale e, per questo motivo, può e deve essere chiamata "chiesa domestica". Essa è una comunità di fede e di amore" n. 2204.Il documento del Sinodo Valdese sul matrimonio del 1971 non parla di "chiesa domestica" e di matrimonio cristiano, ma piuttosto di modo cristiano di vivere il matrimonio. Lo stesso principio può estendersi alla famiglia, che può diventare "chiesa domestica" non tanto per le modalità religiose con cui viene costituita, ma per l’apporto di fede vissuto dai suoi membri. Ed. Claudiana p. 22.
  2. Testo comune per un indirizzo pastorale dei matrimoni tra cattolici e valdesi o metodisti: "come cellula della comunità cristiana, la famiglia ha il compito di testimoniare, quale esempio vivente di un rapporto di comunione, l’amore di Cristo per la sua Chiesa (Ef. 5, 21 segg.) e di operare la prima evangelizzazione delle nuove generazioni I/8.
  3. Vedi: Carlo Molari in: "La concezione cattolica della famiglia ". Nuovi volti della famiglia, Ed. Claudiana. 1977. Pag. 132 e segg.
  4. Costituzione "Lumen gentium": "In questa (famiglia) che si potrebbe chiamare chiesa domestica, i genitori devono essere per i loro figli i primi maestri della fede e secondare la vocazione propria di ognuno e quella sacra in modo speciale". Ed. AVE. Roma 1966, n. 11, pag. 106.
  5. Familiaris Consortio. Ed. Dehoniane. Bologna, n. 52, pag. 54.
  6. Ibidem, n. 57, pag. 58.
  7. Non ancora pubblicato
  8. Familiaris Consortio. Ed. Dehoniane. Bologna, n. 57, pag. 58
  9. Ibidem, n. 21, pag. 23.
  10. Non ancora pubblicato
  11. Testo Comune: 2/5, 3/1-2-3-4
  12. Decreto sull’ecumenismo, Unitatis redintegratio: "Giustificati nel battesimo della fede sono incorporati a Cristo e perciò sono insigniti del nome di cristiani e dai figli della chiesa cattolica sono giustamente riconosciuti quali fratelli nel Signore". N. 3, pag. 337.
  13. Direttorio per l’applicazione dei principi e delle norme sull’ecumenismo. EDB. N. 129 e segg., pag. 58.
  14. I riformatori hanno contestato l’applicazione del termine "cattolica" alla sola chiesa di Roma. Per essi la chiesa cattolica o universale non è tuttavia una realtà evanescente, proiettata nel futuro, che nulla ha a che fare con la storia, né è la somma delle "chiese storiche", ma è la comunità dei credenti, dove i segni della presenza di Cristo si manifestano e si esprimono nella Parola predicata e nella retta amministrazione dei sacramenti, il tutto vivificato dall’azione dello Spirito che guida la chiesa "in tutta la verità". Vedi la Confessione Augustana del 1530. Ed. Claudiana. 1980, pag. 121 e segg.
  15. Unit. Red. N. 4, p. 339.
  16. Cit. da Alister McGrath: Teologia cristiana. Ed. Claudiana, 199. pag., 477.
  17. Ibidem, pag. 478.
  18. Ignazio di Antiochia: Lettera alla chiesa di Smirne VIII, da: "I Padri Apostolici", parte II, Ed. SEI. Torino, pag. 141 (senza tuttavia accettare l’identificazione di Cristo con il Vescovo!)
  19. Lumen Gentium Cap. II, pag. 102.
  20. Conc. Vat. II – Nostra Aetate, n. 4 e segg. pag. 589 e "Documento del Sinodo Valdese sull’ecumenismo" Ed. Claudiana. 1998, pag. 59
  21. Lumen Gentium N. 12, pag. 106.
  22. J. P. Willaime: La précarité du protestantisme. Sociologie du protestantisme contemporain. Ed. Labor et fides. 1992, pag. 11. Vedi anche l’osservazione di D. Bonhoeffer in seguito ad un suo viaggio a Roma: "L’universalità della chiesa e la sua liturgia nella forma romana lo impressionarono (…) la stessa sua chiesa in patria gli sembrava, da questo punto di vista, ancor più provinciale, nazionalistica e caratterizzata in senso piccolo-borghese". Da: Vorrei imparare a credere. Ed. Claudiana. 1996, pag. 190.
  23. Su tutta la questione riguardante la concezione della Cena nelle chiese della riforma, vedi: G. Calvino: Piccolo trattato sulla Santa Cena, nel dibattito sacramentale della Riforma – con vasta introduzione storica di G. Tourn. Ed. Claudiana. 1987.
  24. "La chiesa corpo di Cristo" Il contributo delle chiese della Riforma al dialogo ecumenico sull’unità della chiesa. La Concordia di Leuenberg. A cura di F. Ferrario. Ed. Claudiana. 1996.
  25. "Le chiese si accordano reciprocamente comunione nella predicazione e nei sacramenti. Questo include il riconoscimento reciproco della consacrazione pastorale e la possibilità dell’intercomunione". Concordia di Leuenberg n. 33. Sulla concezione dell’unità della chiesa nel protestantesimo, vedi anche: "Il futuro dell’ecumenismo: un concilio di tutte le chiese?" a cura di G. Conte e P. Ricca. Ed. Claudiana. 1978. Vedi anche il già citato: "L’ecumenismo e il dialogo interreligioso". Documento del Sinodo Valdese. Ed. Claudiana. 1998. Pag. 50
  26. Unit. Red. N. 22. Pag. 353

Chiesa domestica – Un giro di Francia.

Relatore: Nicola Kontzi

Lasciatemi testimoniare della rete del Centro Saint-Irenée a Lione; nel Nord, Sud, Ovest, a Parigi... ovunque le chiese domestiche splendono.

Rimaniamo nell’immagine della Chiesa, concreta, come edificio: vi è quello che accade "dentro" e vi è quello che brilla attraverso le vetrate e le porte, quello che testimonia con la sua presenza e la sua visibilità.

  1. All’interno troviamo ogni tipo di persona. Gli inizi sono spesso difficili A volte si passa dalla rinunzia per tema di ferire l’altro elaborando l’essenziale. Per esempio, una giovane mamma diceva "La mia relazione con Maria era molto stretta prima di sposarmi; adesso non oso più nominare Maria alle mie figlie per paura di offendere mio marito". In seguito ha scoperto che può dire l’"Ave Maria" fino a "Benedetto... Gesù". È tutto biblico. Così noi osserviamo una mutua crescita. Le domande ci conducono all’essenziale; fare le fusa difficilmente è possibile.
  2. Oggi parliamo dell’esterno, dello splendore della chiesa domestica. La luce esce attraverso i vetri, le campane fanno vibrare, ma questa chiesa ha una sua specificità: è di due colori; le sue pietre hanno colori differenti ed essa non vuole nasconderlo. Con la sua presenza essa intriga, interroga e smuove quelli che la scorgono.

Ecco quindi degli esempi di questo splendore:

Vi sono molte altre idee che si sono realizzate: una esposizione biblica, un’altra su Maria, un pellegrinaggio in Palestina/Israele, la preparazione al matrimonio interconfessionale e delle conferenze.

Ma rimaniamo alle cose principali: nella vita di un matrimonio misto, per far risplendere la sua chiesa domestica, è sufficiente vivere pienamente quanto si presenta giorno dopo giorno e rispondervi con il proprio granellino di sale. Ogni immaginazione è possibile.

Conclusione

Siccome la coppia interconfessionale rappresenta nel suo quotidiano due elementi, è una rappresentazione di accortezza: la realtà dell’Altro è sempre presente e questo apre alla coscienza che ogni cosa può essere vista ed avvertita in modo diverso e che questa differenza arricchisce il proprio orizzonte.

Può capitare che la coppia si senta sempre più estranea nelle proprie comunità, poiché essa ha acquisito una visione più ampia.

Ciò sensibilizza all’accoglienza di quello che è diverso e anche di chi si sente differente o è un po’ in disparte nella chiesa.

Nello stesso tempo, questo sensibilizza ad andare verso coloro che si pensa siano chiusi nei loro dogmi, per mostrare un punto di vista più allargato.

I matrimoni interconfessionali sono allora come un "granello di sabbia" nel motore; quando una chiesa diviene autosufficiente. Ma sono anche un "motore" per procedere verso una conversione e uno sviluppo di ogni chiesa.

Tutto ciò richiede coraggio, affermazione, comprensione, perdono, molta pazienza e perseveranza e, soprattutto, umorismo.

Ma tutto ciò lo si impara già nella vita di coppia.

Riprendiamo allora l’immagine del focolare che scalda e illumina: là è l’accoglienza e di là partono le scintille che fanno bruciare il mondo.

 

Testimonianza n° 1.

Relazione: Patricia Sears (Inghilterra)

Per noi, essere un ecclesia domestica non significa recitare le preghiere insieme, ma semplicemente vivere insieme nell’amore, condividiamo il cibo, condividiamo le vite. Tutto ciò che facciamo, tutto ciò che diciamo è una preghiera perché sappiamo di avere il Signore presente con noi. "Dovunque due o tre sono radunati nel nome mio, qui sono io in mezzo a loro". Assomigliamo a una piccolissima Taizè e vorremmo ci venisse dato lo stesso rispetto e gli stessi privilegi eucaristici delle comunioni ecumeniche più grandi.

Siamo stati sempre d’accordo sulle questioni religiose. Vogliamo le stesse cose: condividiamo la fede cristiana, ma siamo ciascuno leale alla chiesa nella quale siamo stati educati.

Secondo me, essere membro di una chiesa non è essere membro di un club, è essere membro di una famiglia. Quando ti sposi con un’altra persona, divieni parte anche della sua famiglia, ma non esci dalla tua famiglia. Così i nostri figli appartengono alla famiglia di mio marito ed alla mia: dire loro che non possono ricevere la comunione è come dire che non possono mangiare quando vanno dalla nonna.

Matteo , capitolo 18,3 "se non mutate e non diventate come i piccoli fanciulli non entrerete punto nel regno dei cieli".

Credo che se ascoltiamo i nostri figli e seguiamo il loro esempio, noi presto troveremo la strada dell’unità cristiana. Non sono ingombrati dalla storia, la teologia e i pregiudizi che ne vengono.

Conoscono Gesù, lo amano e cercano di fare ciò che lui farebbe.

Poche settimane fa, mio figlio, che ha undici anni, è venuto in cucina mentre preparavo il pranzo domenicale. Ha detto che aveva spento un programma scemo alla tivù.

Io ho domandato di cosa si trattava. Ha detto che era un’animazione sull’ultima cena. Quando Gesù ha detto: "Questo è il mio corpo, questo è il mio sangue", Matteo ha detto: "Che cosa vuol dire?"

Gesù ha risposto "Mmm". Matteo ha insistito: "Vuoi dire letteralmente o metaforicamente?" Gesù ha detto: "Mmm". "Signore non capisci che saranno guerre, la gente morirà, la chiesa si dividerà se non ci dici cosa vuoi dire?" "Mmm".

Io ho domandato a Jonathan che cosa pensava lui.

Ha risposto: "Forse Gesù ci diceva che non importa altro, che la cosa importante è che riceviamo l’eucaristia, perché ha detto che quando faremo questo, sarà dentro di noi".

 

 

Testimonianza n° 2.

Relatori: coppia Marco Giolito e Myriam Bonnet

Ci siamo sposati nel 1971 in chiesa valdese, con la dispensa rilasciata dalla chiesa cattolica sulla base del motu proprio di Paolo VI "Matrimonia mixta" del 1970.

All’atto del nostro matrimonio, abbiamo concordato, comunicandolo alle rispettive chiese, che per l’educazione di eventuali figli avremmo seguito questo criterio: informazione delle posizioni teologiche e religiose delle due chiese, lasciando i figli liberi di scegliere poi la chiesa storica a cui aderire.

Fedeli a questo criterio, abbiamo insegnato alle nostre figlie Elena e Stefania – due gemelle nate nel 1973 – le verità fondamentali del cristianesimo, le preghiere comuni alle due chiese e le principali differenze di natura teologica, sottolineando sempre che sulle verità fondamentali (gerarchia delle verità) esisteva un ampio campo di convergenza delle due chiese.

Alle nostre figlie abbiamo fatto seguire i corsi della scuola domenicale e quelli del catechismo cattolico, ribadendo che il seguire tali corsi non comportava ancora adesione ad una delle due chiese, ma semplicemente significava prendere conoscenza delle rispettive realtà confessionali per poi fare – più avanti – una scelta convinta della chiesa in cui inserirsi.

Abbiamo voluto garantire alle nostre figlie una doppia formazione, mettendo su di un piano di parità le due chiese; inoltre, come genitori, abbiamo sempre cercato di inculcare ad Elena e Stefania non solo il rispetto, ma anche l’amore per le due chiese.

In questa logica abbiamo fatto un cammino comune e come famiglia – tutti insieme – abbiamo partecipato nei giorni festivi alla liturgia di una delle due chiese.

All’età di 16 anni, le nostre figlie ci hanno detto di essere credenti, di sentirsi cristiane, di desiderare il battesimo, ma di non essere ancora pronte per scegliere la chiesa. Avrebbero voluto ricevere il battesimo come segno di ingresso nella chiesa di Cristo, nell’attesa di maturare la decisione di aderire poi ad una delle due chiese: soltanto la chiesa valdese si è detta disponibile a celebrare il battesimo senza vincolo di adesione istituzionale. E così le nostre figlie, previa preparazione adeguata, sono state battezzate in chiesa valdese dal pastore Taccia. Alla cerimonia del battesimo ha presenziato anche – in forma ufficiale in rappresentanza della chiesa cattolica – don Tony Revelli, che assiste, per incarico della curia della diocesi di Torino, le coppie interconfessionali. Tale presenza, accompagnata anche dal dono alle nostre due figlie della Bibbia per conto della chiesa cattolica, ha avuto un grande significato ecumenico nella vita e nei rapporti tra le due chiese.

Elena e Stefania hanno poi continuato ad approfondire la loro formazione religiosa e all’età di 23 anni hanno scelto: una la chiesa valdese e l’altra quella cattolica.

La nostra esperienza di famiglia ci permette di dire che il criterio da noi seguito ha avuto successo; la nostra esperienza di ecclesia domestica ha funzionato ai fini della trasmissione della fede (che è la cosa più importante) e della scelta convinta di una chiesa da parte delle nostre figlie.

Per noi l’ecclesia domestica non è stata e non è una terza chiesa, non è neppure una chiesa sotterranea, ma è stata ed è, semmai, una chiesa laboratorio dove convivono – confrontandosi ed amandosi – due confessioni cristiane che, con i rispettivi radicamenti ecclesiali hanno in comune le verità fondamentali per la salvezza.

La nostra ecclesia domestica si è caratterizzata soprattutto mediante i criteri di comportamento adottati prima da noi genitori e poi da tutta la famiglia nel vivere la fede comune e nel salvaguardare l’appartenenza di ognuno alla propria chiesa.

La via che abbiamo seguito sul piano dei comportamenti pratici è stata il frutto di nostre decisioni personali, data l’assenza di indicazioni ufficiali per le famiglie interconfessionali da parte delle chiese. Dobbiamo però sottolineare che tali decisioni sono state di volta in volta discusse con sacerdoti e con pastori che operano nel campo ecumenico, dai quali abbiamo ricevuto comprensione ed incoraggiamento. Così come abbiamo sentito partecipazione e sostegno al nostro comportamento da parte delle persone che frequentano le riunioni del SAE e che svolgono un ruolo attivo nel dialogo ecumenico.

L’attuale stato dei rapporti tra le chiese ed il cammino ecumenico da esse compiuto ci ha permesso di partecipare, uniti come coppia e come famiglia, a molte manifestazioni della vita religiosa, ma non hanno ancora sciolto un nodo di fondo per una più completa espressione di vita cristiana. Questo nodo è rappresentato dall’intercomunione, ossia dalla reciproca ospitalità eucaristica, che noi sentiamo come esigenza essenziale.

Nel corso della nostra vita matrimoniale, nei momenti felici e in quelli dolorosi, abbiamo infatti sentito la necessità di prendere la comunione insieme; ma per molti anni, forse troppi, abbiamo evitato di farlo per non urtare la sensibilità delle due comunità.

Abbiamo preso la comunione insieme per la prima volta in chiesa cattolica a Torre Pellice il giorno di Pasqua che precedeva la domenica di Pentecoste in cui le nostre figlie sarebbero state battezzate. E da allora la facciamo alcune volte all’anno in determinate ricorrenze, ora in una chiesa, ora nell’altra tutti e quattro insieme e con molta gioia.

Chiediamo alle due chiese che non si ergano come un ostacolo per le coppie che desiderano ardentemente, pur nella diversa interpretazione del sacramento, accogliere l’invito di Cristo alla sua mensa per dare un senso alla loro vita.

Chiediamo con insistenza alle chiese di affrontare questo problema con spirito veramente ecumenico, tenendo conto delle attese delle coppie e delle famiglie interconfessionali non sottovalutando il fatto che un atteggiamento negativo delle chiese può allontanare dalle stesse il bisogno di testimoniare la propria fede in forma unitaria.

 

Testimonianza n° 3.

Relatori: Anne Marie e Jean Marc Rochet

Voreppe (Francia)

Siamo sposati già da più di 20 anni ed abbiamo tre figli: Pierre Jean (18 anni), Pascal (15 anni) e Maïlys (8 anni). Il nostro matrimonio è stato l’occasione per una celebrazione ecumenica alla presenza di un prete cattolico e di un pastore protestante presso il Centro Ecumenico di St. Marc a Grenoble.

Jean Marc (cattolico) ha avuto la dispensa dalla forma canonica e entrambi abbiamo preso l’impegno di allevare i nostri figli secondo un’educazione cristiana, nella conoscenza delle nostre rispettive chiese (cattolica e riformata).

Abbiamo scelto di non battezzare i nostri figli da piccoli, ma di fare una celebrazione di presentazione (o di accoglienza) o al tempio o in chiesa a seconda del nostro luogo di dimora.

Quando siamo arrivati a Voreppe, i nostri figli hanno seguito il catechismo presso la parrocchia cattolica del luogo, perché riteniamo importante per loro di ritrovarsi insieme con i loro compagni. I ragazzi hanno avuto l’occasione di domandare e di ricevere il battesimo a 13 e 11 anni, dopo una preparazione di gruppo e in più tappe. È stato anche un momento importante per la nostra famiglia.

Abbiamo frequentato il gruppo di coppie miste di Grenoble (5 coppie) in modo episodico. Quest’anno è stato un tempo forte perché abbiamo avuto la preparazione di un fine settimana di incontro di coppie miste del sud-est della Francia. Questo ha avuto luogo all’inizio di giugno al Centre St. Hugues, vicino a Grenoble, sul tema di Maria, seguendo il lavoro del gruppo di Dombes: "Maria nel disegno di Dio e la comunione dei santi". All’incontro hanno partecipato padre Beaupere e il pastore Blancy.

Anche il nostro gruppo ha preparato sullo stesso tema una relazione che è stata fatta circolare in diverse località del dipartimento dell’Isere.

Questo tipo di incontri e di dialogo è arricchente per la conoscenza reciproca tra cristiani, per prendere coscienza della diversità che esiste all’interno di ciascuna confessione e anche per superare i pregiudizi.

Ma questo gruppo di coppie miste non è il momento più importante per noi, in quanto, come pensiamo capirete, noi privilegiamo il radicamento in una comunità locale. Questa è per noi la parrocchia cattolica di Voreppe, anche se manteniamo dei legami con quella riformata più vicina. Siamo stati ben accolti a Voreppe, dove Anne Marie si sente "integrata, ma non assimilata".

Abbiamo discusso con i preti che sono venuti a casa e Anne Marie partecipa alla comunione durante la messa (così come Jean Marc partecipa alla cena durante un culto); questa è per noi una conseguenza diretta del matrimonio che ha fatto di noi "una sola carne".

Dall’altra parte abbiamo accettato un servizio presso la chiesa, in quanto facciamo parte di un gruppo di preparazione al matrimonio; inoltre accogliamo i genitori per la preparazione al battesimo dei bambini (questo servizio viene fatto a casa).

È per noi occasione di scambio con gli altri in occasione di passaggi importanti della vita, di condividere la nostra fede senza nascondere le nostre specificità e di dare un’immagine accogliente della Chiesa per delle persone poco praticanti.

Con l’idea che la coppia mista è un "laboratorio", per i tempi che vengono, nel cuore di una società secolarizzata (e pluralista), la nostra opinione è che le chiese debbono unire i loro sforzi, non solo nel settore della carità, ma anche in quello della pastorale (in senso lato) e dell’evangelizzazione, in funzione dei doni di ciascuna.

Un ultimo punto è quello che riguarda le realtà "sacramentali" che si possono vivere in una coppia "chiesa domestica".

In occasione della visita del vescovo della nostra diocesi, siamo stati portati come testimonianza di ciò che viviamo. In altri casi abbiamo sottolineato il fatto che la vita famigliare ha anche le sue difficoltà, le sue ferite (relazioni di coppia, con i bambini ecc.).

Il lavoro di riconciliazione è necessario nella vita di tutte le famiglie (comprese quelle miste) e può diventare "icona" del lavoro di riconciliazione tra le chiese in cerca della loro unità in Gesù Cristo. È un motivo di speranza.

Sentendo le altre testimonianze, pensiamo di avere la possibilità di vivere la nostra situazione con delle persone e delle chiese aperte sul piano ecumenico e questa è per noi una occasione di rendimento di grazie.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Testimonianza n° 4.

Relatore: Alys Blakeway (Inghilterra)

La nostra chiesa domestica è unita nel senso personale e privato. Tutti noi quattro (o sei se includiamo le nonne) crediamo in Dio e cerchiamo di obbedire ai comandamenti di Gesù.

Ma in un altro senso noi siamo divisi, o almeno diversi.

Accettiamo la diversità delle chiese e dei culti, ma, normalmente, le domeniche ci separiamo: le mie figlie ed io alla chiesa anglicana e mio marito Edward a quella cattolica. Questa separazione è dovuta al rifiuto (nel passato) della chiesa cattolica di ammettermi alla comunione (peraltro ora ammessa). Questo fatto ha provocato in me un sentimento di ostilità di cui mi vergogno; anche le nostre figlie lo hanno sentito e ricevuto da me. Quindi chiamano la chiesa cattolica "la chiesa di papà", invece io credo che le chiese appartengano a tutti.

Mio marito pensa che la comunione sia segno di appartenenza ad un club; vuole che io condivida la comunione perché mi ama e non vuole che io sia triste: non percepisce la divisione come capita a me.

Abbiamo entrambi la sensazione di essere vittime della Storia: ci sono trecento anni di sofferenza da parte di due chiese e molti inglesi hanno ancora paura a livello inconscio dell’invasore cattolico e di una seconda Armada.

Ma abbiamo anche appreso cose l’uno dall’altro: io ho preso l’abitudine di andare in chiesa ogni domenica e mi ha fatto un grande piacere quando mia suocera ha fatto la comunione nella cattedrale anglicana in occasione della confermazione di nostra figlia.