LA SPIRITUALITÀ NELLA COPPIA INTERCONFESSIONALE

(Pastore A. Taccia)

La "spiritualità" viene generalmente intesa come un moto dell’anima umana che tende verso valori etici particolarmente elevati. Essa può determinare una tensione mistica in una dimensione trascendentale, come espressione della più alta sensibilità dell’essere umano.

Spesso, la spiritualità viene confusa con "religiosità", senza che questa assuma riferimenti particolari ad una chiesa, a una filosofia o ad una scuola di pensiero. Spesso sono gli ideali religiosi che determinano, stimolano e danno contenuto alla spiritualità che tuttavia può sussistere indipendentemente dall’adesione ad un particolare credo religioso. Questa affermazione mi sembra importante affinché la "religione" non monopolizzi la "spiritualità", negandola a chi religioso non è.

Tuttavia una questione deve renderci attenti e critici quando la spiritualità viene opposta alla fisicità e alla materialità.

Questa tendenza è stata una delle prime correnti di pensiero con cui il cristianesimo ha dovuto misurarsi: lo gnosticismo. Nello gnosticismo si tende a separare, e quindi ad opporre, lo spirito alla carne, ritenendo il primo entità buona e positiva e la seconda entità cattiva e negativa. Lo spirito (confuso a volte con l’anima) è immortale, la carne è destinata alla dissoluzione.

Se dovessimo tentare di distinguere i vari elementi componenti di una antropologia, potremmo parlare di: Fisicità, Psichicità, Razionalità, Emotività, Spiritualità.

Questi elementi sono collegati tra loro in una interazione continua, con prevalenza ora dell’uno ora dell’altro, nell’unità inscindibile dell’essere umano.

Situazioni di particolare entità o gravità coinvolgono tutti e 5 questi livelli, creando tensioni interne, conflitti, ansie. Questo può succedere in presenza di eventi negativi come la sofferenza, la malattia grave, il lutto e la morte; ovvero nel verificarsi di avvenimenti positivi come (appunto) il matrimonio, una nascita, una favorevole sistemazione economica ecc.

Poiché il nostro discorso intende muoversi in ambito cristiano, proviamo a confrontare le cose che abbiamo detto con la concezione della persona umana così come appare nella Bibbia.

Il Nuovo Testamento dipende molto dall’Antico per quanto riguarda l’antropologia, cioè la visione dell’uomo nei suoi diversi aspetti.

Nell’Antico Testamento, l’uomo è sempre considerato nella sua globalità inscindibile. Ogni aspetto dell’uomo interagisce con gli altri, qualificando l’atteggiamento generale della persona umana, per cui carne e spirito non sono due entità separate, ma sono riferiti a due diversi modi di essere.

Nel Nuovo Testamento si parla di una vita "secondo la carne" che abbraccia tutti gli aspetti dell’esistenza umana, ivi compresa la spiritualità. "Secondo la carne" indica una vita centrata sull’amore di se stessi (concupiscenza), che fa dell’egocentrismo la ragione dell’esistenza. L’essere umano si serve degli altri e si serve anche di Dio, ma non serve gli altri e non serve Dio.

Viceversa, vivere "secondo lo Spirito" non è dare prevalenza agli aspetti spirituali della vita, i quali possono apparire egoistici tanto quanto quelli materiali. Vivere "secondo lo Spirito" vuole dire lasciarci interamente guidare dallo Spirito di Dio.

Quindi l’opposizione non si colloca tra due aspetti contrastanti dell’essere, ma nel rapporto tra l’essere umano considerato nella sua interezza e l’azione di Dio (Padre, Figlio e Spirito Santo) vista anch’essa nella sua globalità.

Lo spirito umano può essere il veicolo per mezzo del quale Dio parla a noi. "Lo Spirito stesso assicura al nostro spirito che siamo figli di Dio" (Rom 8/16). Lo spirito umano non sa chi siamo ma ad esso è rivolto l’annuncio che "siamo Figli di Dio" e, quindi (v. 14), tutti quelli che sono condotti dallo Spirito sono figli di Dio. Esseri umani che nella loro unità psicofisica, Dio adotta come figli suoi e, soltanto per mezzo del Suo Spirito, possiamo gridare: Abba, Padre! (v. 15).

Questo non significa dividere l’umanità in due settori: i figli di Dio (magari per elezione!) e coloro che non lo sono. L’annuncio evangelico è rivolto a tutti e tutti sono chiamati ad essere figli di Dio, il che non pare essere una condizione "naturale" ma è un dono di grazia. Tutti sono potenzialmente figli di Dio.

Questa realtà diventa manifesta quando lo Spirito del Signore, per mezzo della sua Parola e grazie all’opera redentrice del Cristo entra nella nostra vita.

La conversione (metanoia) non significa accentuare l’aspetto religioso o spirituale della vita rispetto ad altri, ma è il nuovo orientamento che il Signore dà all’esistenza umana nella sua globalità.

Avvicinandoci ora al tema della conversazione, potremmo definire, in forma un po’ schematica, il cambiamento della vita sulla base di due parametri che entrano in tensione: eros ed agape.

L’eros non costituisce l’aspetto erotico, carnale, sessuale (come generalmente si pensa), ma è un atteggiamento volto alla ricerca della gioia, della giovinezza, della bellezza, del successo; eros è forza fisica e morale che conduce al successo e al possesso, è amore di tutto quello che può elevare, migliorare, rendere più felice e spirituale la vita. Nell’atteggiamento dell’eros io amo soprattutto me stesso e fruisco di tutto quanto mi circonda: gli esseri umani, gli oggetti materiali, le realtà spirituali e Dio stesso. L’eros rifiuta ciò che non è amabile, ciò che non soddisfa, ciò che non dà piacere, ciò che non vorrei essere. L’eros rifiuta un Dio che non fa andare bene tutti i miei affari, che non mi preserva dalla sofferenza, dalla fatica, dalle difficoltà.

L’eros è esaltazione del senso estetico, rifiuta la deformità, la diversità, la decadenza fisica e psichica, l’invalidità, la morte.

Quando gli autori del Nuovo Testamento hanno dovuto trovare un termine per definire il rapporto di Dio con noi, non hanno potuto usare l’espressione: eros. Hanno dovuto cercare un termine che non esiste nel greco classico, ma nel linguaggio popolare: agape. Attraverso l’agape, Dio ama ciò che non è amabile, anziché innalzarsi si abbassa, anziché arricchirsi si impoverisce (II Cor 8/9), umilia e svuota se stesso (Fil. 2/6-7), rifiuta il dominio, ma accoglie il servizio (10/41-45).

Se eros è amore che prende, che tende al possesso delle persone, delle cose e di Dio, l’agape è amore che dà, che sposta il centro della propria vita da se agli altri e a Dio.

Nel Vangelo, il termine "agape" è spesso collegato al verbo: dare.

L’idea ed il principio del dono sono fondamentali per coloro ai quali lo Spirito di Dio attesta che sono Figli di Dio. Di un Dio che "ha tanto amato il mondo che ha dato il suo unigenito figlio" (Gv. 3/16).

Di conseguenza, la spiritualità cristiana non è elevazione mistica nelle sfere rarefatte della trascendenza, non immersione nel mistero di Dio in un atto di sublimazione. La spiritualità cristiana è quella che si sa esprimere, nella concretezza della vita di ogni giorno, i frutti dello Spirito: amore, allegrezza, pace, bontà, fedeltà, dolcezza, temperanza (Gal. 5/22-25).

Nella coppia, l’agape è l’atteggiamento che i mariti devono assumere verso le loro mogli, come Cristo ha amato la chiesa e ha dato se stesso per lei. (Ef. 5/25). Torna il collegamento tra amare e donare. Cristo non ha amato la chiesa sottomettendola e umiliandola, ma l’ha amata servendola e dando la vita.

Ma poiché la coppia non è puro spirito, ma formata da esseri umani che giocano insieme la loro fisicità, razionalità, la loro emotività e spiritualità, in essa eros e agape sono compresenti. L’eros come amore di sé è elemento non eliminabile, anzi Gesù dice: ama il tuo prossimo come te stesso. (Mt. 22/39).

L’amore di se stesso, svuotato da ogni egoismo, diventa metro per l’amore degli altri. Chi odia se stesso, non può amare gli altri.

Spesso nella coppia emerge la tentazione dell’eros quando, alla base dell’unione emerge la volontà del possesso. Si osservino le liturgie matrimoniali: "vuoi tu prendere?, io prendo te!" Quando l’idea del prendere prevale su quella del dare, spesso, inconsciamente, emerge l’intenzione di "sistemare" se stesso a spese dell’altro, quando l’altro viene amato, non per quello che è, ma per il beneficio, il benessere, il piacere che ne può derivare.

Quando la coppia si costituisce in tale ambiguità, essa può essere molto religiosa, molto spirituale, ma la sua spiritualità diventa mistificazione, se non c’è l’agape (I Cor. 13).

Ne consegue che, una coppia di credenti che intende vivere il proprio matrimonio secondo la fede cristiana di cui si sente animata, non potrà trarre alimento alimento e guida per la propria vita che dalla Parola del Signore assunta anche come metro e controllo dei propri sentimenti, nella continua tensione tra "eros" e "agape".

Inoltre, le coppie interconfessionali, pur trovando "nel Signore" il fondamento della loro vita matrimoniale, non possono non confrontarsi con le diversità, talora profonde, con cui le loro chiese di appartenenza esprimono il modo di vivere la fede cristiana, di comprenderla e testimoniarla. Questa diversità può costituire, all’interno della coppia, motivo di tensione, di reciproca contestazione, di atteggiamenti di estraneità e di repulsione nei confronti dei principi teologici e della prassi religiosa dell’altro coniuge.

Sulla base dell’agape "paziente, benigna, che non invidia, che non si vanta, che non si gonfia, che non si inasprisce, che non sospetta il male", è possibile anche discutere animatamente, ma senza polemica e senza temere di esercitare un confronto critico ed autocritico.

Aldilà delle divisioni confessionali è anche possibile operare gesti "trasgressivi" in un rapporto di complicità, scevro da sentimenti provocatori, ma dettati da un reale spirito ecumenico, come atti anticipatori di quello che potrebbe diventare materia di confronto e di intesa fra le chiese.

La reciproca, sia pur parziale, partecipazione alla vita delle chiese, può essere dettata dalla volontà di condividere tutto quanto è possibile per una più approfondita conoscenza reciproca e una crescita della fede comune.

La spiritualità di una coppia interconfessionale intesa come ricerca di una reale comunione con il Signore, valorizzando tutte le indicazioni positive offerte dalle chiese, compatibili con la coscienza di ciascuno, diventa elemento di testimonianza, senza cedimenti e compromessi e dimostrazione di quanto sia possibile vivere in modo coerente la comune fede cristiana, non contro le chiese o senza di esse, ma all’interno di una comunità di credenti in cammino verso una unità più profonda che nulla impone nella disponibilità ad una reciproca accoglienza e, in questa dimensione, "gioisce con la verità" (I Cor. 13/6).

L’essenziale a cui fare riferimento rimane la fede in Dio, Padre, Figlio e Spirito Santo nella Sua Parola di vita e di verità e nell’azione dello Spirito che guida la chiesa nella sua vocazione di servizio e di testimonianza aldilà delle non compatibili diversità istituzionali.

Questa realtà che unisce, sostiene, sprona nella via della fede, della speranza e dell’amore è dono di grazie e non è monopolio esclusivo di nessuna chiesa. È punto di partenza e meta da cui parte e a cui tende il cammino della chiesa universale.

Nell’ambito delle coppie interconfessionali elemento fondamentale di coesione è la preghiera che può essere condivisa con i figli, indipendentemente dalle loro scelte di appartenenza confessionale.

Preghiera integrata e arricchita da una regolare lettura biblica, in base a criteri liberamente scelti, o seguendo legionari o testi di preghiere provenienti dalle due chiese, possibilmente scevri da eccessivi condizionamenti confessionali.

La coppia interconfessionale potrà così diventare "chiesa domestica" non separata dalla comunità cristiana, ma in essa presente come vivente testimonianza di una possibile unità in un reale spirito ecumenico.