LA CHIESA RACCOMANDA VIVAMENTE CHE SI CONSERVI LA PIA CONSUETUDINE DI SEPPELLIRE I CORPI DEI DEFUNTI
Nel diritto vigente, nel libro IV "De Ecclesiae munere santificandi" e nella parte
seconda noi troviamo specificati alcuni atti del culto divino "De ceteris actibus
cultus divini", tra i quali, nel titolo terzo, vengono collocati dieci canoni
riguardanti le esequie ecclesiastiche "De exequiis ecclesiasticis". Le disposizioni
del diritto nei confronti della cremazione sono contenuti in modo particolare
nel c. 1176, § 3, quando, in primo luogo si raccomanda vivamente di conservare la
pia consuetudine di seppellire i corpi dei defunti, senza proibire la cremazione ,
(307)
e nel c. 1184, § 1, n. 2°, dove espressamente vengono negate le esequie
ecclesiastiche a coloro che scelsero la cremazione del proprio corpo per ragioni
contrarie alla fede cristiana.
(308)
Tali norme costituiscono il fondamento sicuro e più genuinammente cristiano
dell'istituto delle esequie ecclesiastiche quale è andato affermandosi lungo i
secoli. E questo dirittodovere, celebrato dai fedeli insieme ai sacerdoti secondo
le leggi liturgiche, esprime profondamente l'indole pasquale sottolineata già dal
Concilio Vaticano II. I principi conciliari avevano illuminato e delucidato il
campo giuridico, dando nello stesso tempo un quadro ben preciso delle norme con cui
la Chiesa onora i morti e suscita la speranza nei vivi. Al c. 2, il Diritto
Canonico richiama esplicitamente le leggi liturgiche che sono da osservarsi nelle
celebrazioni liturgiche. Naturalmente le modalità di celebrazione vengono stabilite
dalle norme liturgiche.
Da tutto ciò si comprende che le esequie ecclesiastiche costituiscono un rito sacro,
una cerimonia religiosa. In questo senso quindi le leggi liturgiche assicurano
l'intercomunicazione e intercomunione tra i membri della Chiesa.
(309)
Nella disciplina in vigore sull'inumazione e cremazione, i cui ultimi passi furono
stabiliti dall'istruzione "De cadaverum crematione: Piam et constantem", e
dall'"Ordo exsequiarum", è molto chiaro che la S.C del S. Officio e la S.C per il
Culto Divino considerano la celebrazione delle esequie e i riti destinati ad essa,
come un momento della massima importan-za, in cui si esprime l'onore dovuto al defunto.
(310)
La liturgia nei suoi atti normativi riguardanti le esequie esprime profondamente il
carattere di speranza che scaturisce dal mistero pasquale della morte di Cristo.
Ora, per ciò che riguarda le esequie ecclesiastiche: "La Chiesa raccomanda
vivamente che si conservi la pia consuetudine di seppellire i corpi dei defunti;
tuttavia non proibisce la cremazione, a meno che questa non sia stata scelta per
ragioni contrarie alla dottrina cristiana" (c. 1176, § 3).
Questo canone testè citato, possiede una particolare caratteristica, quella di
esprimersi in termini non più imperativi, come faceva ancora il CIC del 1917
(311) che
non ammetteva la possibilità della cremazione, ma sottolineava soltanto l'obbligo
di seppellire i cadaveri, riprovando nello stesso tempo la loro cremazione. E con
questo carattere imperativo non contrastava il fatto che, per dare attuazione alla
privazione delle esequie ecclesiastiche, bastava accertare che la persona avesse
stabilito la cremazione del suo corpo, anche se effettivamente la cremazione non
avveniva.
(312)
Non può sfuggire a nessuno il rapporto che lega le esequie ecclesiastiche a quella
tipica consuetudine della Chiesa di seppellire i corpi dei defunti, su cui ci siamo
già diffusamente soffermati. Nel Diritto Canonico la consuetudine può avere forza
di norma canonica
(313)
; bisogna però riconoscere che in effetti la Chiesa segue una
prassi solenne e affettuosa nel curare le salme dei defunti e nel dar loro le
esequie ecclesiastiche. Il CIC del 1983 attribuisce alla consuetudine di seppellire
i corpi dei fedeli defunti la massima importanza, e ne consolida la forza normativa
con delle norme ben precise.
(314)
I documenti emanati dalle Congregazioni sottolineano con finissima sensibilità tale
compito. Ma l'opportunità di emanare anche delle leggi nell'ambito della propria
competenza, da parte dei vescovi diocesani, la riteniamo legata alle sole norme che
corrispondono e prendono in considerazione le consuetudini della comunità cristiana.
Se esse collimano con la dottrina e la giurisprudenza, divengono applicabili ed
efficaci; per quanto invece concerne le esequie ecclesiastiche, spetta alla stessa
Congregazione del S. Officio prenderne in considerazione l'uso, approvato dalla
millenaria tradizione della Chiesa.
(315)
Abbiamo già qualche applicazione in chiave canonica su cui riflettere. Ad esempio,
una salvaguardia discreta della prassi si è affacciata all'orizzonte proprio di
Torino. Il Delegato arcivescovile per le comunicazioni sociali di quella città,
rilasciò una dichiarazione in occasione di una conferenza stampa, durante la quale
il Comune di Torino presentò il 21-06-1989 una sua iniziativa volta a favorire la
cremazione. Il settimanale diocesano La Voce del Popolo ne divulgò il testo, ove
peraltro come si può verificare nella nota, non si prende posizione alcuna a
sostegno dell'iniziativa voluta dall'Amministrazione Comunale della città .
Le polemiche che si sono scatenate nel passato contro il diritto della Chiesa, in
specie contro il divieto della cremazione, certo non sono state ignorate dal
legislatore. Coloro che la sostengono, nella modifica del diritto vigente, essendo
eliminato il divieto, possono disporre che il proprio corpo venga inumato o
cremato.
(316)
Significativa rimane d'altronde una notificazione della Conferenza Episcopale di
Germania, Austria, Svizzera e dei paesi Bassi che, nella notificazione dei
documenti emanati dalla S. Congr. e riportati in Archiv für Katholisches
Kirchenrecht, ammette tranquillamente la possibilità di svolgere il rito delle
esequie in presenza dell'urna. Qualora manchi un luogo adatto, si deve svolgere
tutto il rito nella cappella del cimitero, e là dove si trova la tomba .
(317)
Dopo le modifiche avvenute, il legislatore ha conservato le pene previste verso
coloro che abbiano scelto la cremazione per motivazioni contrarie alla dottrina
cristiana: "/.../ a meno che la cremazione non sia stata scelta per ragioni
contrarie alla dottrina cristiana" (c. 1176 § 3).
In base a quanto stabilito nel can. 1184, § 1, n. 2° del CIC, si devono negare le
esequie ecclesiastiche a "coloro che scelsero la cremazione del proprio corpo per
ragioni contrarie alla fede cristiana" (c. 1184 § 1, 2°). In questo caso il CIC del
1983 nel c. 1184, n. 2° ha ripetuto le norme precedenti, previste dal CIC 1917 e
dai successivi documenti, a proposito della cremazione: "Exequiis ecclesiasticis
privandi sunt, nisi ante mortem aliqua dederint paenitentiae signa: qui proprii
corporis cremationem elegerint ob rationes fidei christianae adversas"
(c. 1184, n. 2°).
Certamente, con queste disposizioni la Chiesa ha mitigato le norme emanate
precedentemente. Esse erano intransigenti nei confronti dei cremazionisti e
rimarranno quando l'uso della cremazione si manifesterà per fini contrari alla fede
cristiana e alla dottrina della Chiesa.
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