Un coro di "no" alla "maternità surrogata"
Riflessioni sulla decisione
del giudice romano
Contro la decisione del giudice romano che autorizza la tecnica della
"maternità surrogata" o - come altrimenti viene detta - dell'utero in
affitto si è levato un deciso coro di no. Le poche voci a favore si basano
più su motivazioni affettive che su fondamenti giuridici. I termini più
comuni sono stati decisione "aberrante", "sconcertante", "inaccettabile". I
giuristi hanno rilevato la pretesa del magistrato di sostituirsi al
legislatore e di ignorare totalmente le norme del codice deontologico in
vigore in Italia per i medici e gli operatori sanitari. Di ignorare inoltre
il testo approvato dalla Camera sulla fecondazione medicalmente assistita,
ora all'esame del senato.
Per restare sul piano legislativo, la maternità surrogata è vietata in
tutti i Paesi Europei ad eccezione della Gran Bretagna, mentre è consentita
negli Stati Uniti ma solo nelle strutture private, in attesa di una legge
federale specifica. La cronaca ricorda che a Roma nel 1995 nacque una
bambina da un embrione congelato, impiantato in una zia della nascitura,
perché, nel frattempo, la madre naturale era morta in un incidente.
La decisione del giudice romano, che autorizza una donna sposata a
ricorrere all'utero di una sua amica per avere un figlio, è stata
giustificata dal fatto che l'utero della donna è affetto da una
malformazione congenita.
Nella sentenza - pubblicata dalla stampa - il giudice cerca di suffragare
la decisione con motivazioni giuridiche e anche sociologiche. Tra l'altro
si afferma che alla persona deve essere riconosciuto "il diritto a
diventare genitori e di valutare e decidere le scelte in relazione al
bisogno di procreare". Si precisa che "lo status genitoriale può trovare
completezza nell'adozione ma anche nella trasmissione del proprio
patrimonio genetico". Anche il concetto di maternità viene messo in crisi
"dalle nuove tecniche, che possono modificare la sequenza naturale
dell'iter procreativo", facendo sì che "partorisca colei che non è
geneticamente madre". Secondo la sentenza, l'abbandono "della legge
naturale che vuole la donna madre gestante e partoriente, induce a
ridefinire il fenomeno della maternità". La prestazione della madre
surrogata, che porta a termine la gravidanza, "ben può essere testimonianza
di solidarietà familiare". Entrambe le madri "hanno una connessione
biologica con il figlio, non si deve escludere il diritto della madre
surrogata di continuare a vedere il bambino, di seguirlo e tenerlo con sé
per alcune ore del giorno". Infine, la conclusione: "Sarebbe difficile
escludere la liceità di un mero prestito di organo, peraltro limitato nel
tempo e sotto controllo medico, quando il legislatore ha previsto la
possibilità di donazioni di organi tra vivi".
Si è voluto riassumere la decisione del giudice nei suoi punti capitali,
per offrire a tutti la materia propria di riflessione, e anche per far
comprendere le ragioni perché la decisione è stata giudicata aberrante,
sconcertante e inaccettabile.
La tecnica dell'utero in affitto o della maternità surrogata sconvolge
l'ordine naturale della procreazione, che postula l'unità del soggetto
delle due operazioni fondamentali che avvengono nella generazione umana:
il concepimento e la simultanea gestazione. L'unità è reclamata soprattutto
dalla dignità dell'essere umano chiamato alla vita. Le legislazioni sono
tuttora alle prese per specificare il ruolo delle due donne che
intervengono nella procreazione. La decisione del giudice romano le
coinvolge entrambe. Di fatto la madre genetica è quella che fornisce
l'elemento germinale, l'altra svolge una funzione di supporto nella
gestazione. Ma le legislazioni non sono in questa direzione. Sorge un
conflitto giuridico per la presenza di due madri: una biologica e un'altra
legale. Il conflitto non può essere tacitato per legge. Tra bimbo in
gestazione e la donna che lo nutre si sviluppano profondi legami non solo
fisici o fisiologici, ma anche affettivi e psicologici, un sodalizio
inscindibile.
Nella decisione del giudice si fa riferimento alla donazione di organi tra
vivi. Ma quali organi sono dichiarati leciti e cedibili? Non certo quello
che indica il provvedimento del giudice. Ma il più grave e angosciante
aspetto di tutta la vicenda è il bimbo "desiderato" e dato in gestazione.
Che ne è della sua dignità intangibile? Dei suoi diritti inalienabili e
inviolabili? Chi può farne impunemente un "oggetto" o anche "un soggetto"
dei propri desideri a fini egoistici? Su quale fondamento si basa il
diritto al figlio o alla attuazione della maternità ad ogni costo? Che dire
poi del processo procreativo che avviene in laboratorio senza la
intercomunione personale e simultanea dei coniugi? Il doveroso "no"
all'interrogativo, se sia lecito dal punto di vista etico e giuridico
l'utero in affitto o la maternità surrogata, non è solo una questione
religiosa. È profondamente umana. La legge, prima che nei codici positivi,
è iscritta nella dignità della persona. Chiunque non sia gravato da
pregiudizi o opacità ideologiche, può percepirla nei suoi contenuti e nelle
sue esigenze vincolanti. |